Rinuncia Eredità Tardiva: i Debiti non si Trasmettono all’Erede.
La rinuncia eredità tardiva, trasmette i debiti all’erede? Come può tutelarsi l’erede?
Sul caso della rinuncia eredità tardiva, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8053 del 29 marzo 2017 spiega che i debiti tributari non si trasmettono all’erede che abbia effettuato la rinuncia dell’eredità anche se tardivamente.
Vale la pena ricordare che ai sensi dell’art. 480 c.c. entro 10 anni dall’apertura della successione, gli eredi possono accettare espressamente o tacitamente l’eredità. Nello stesso termine l’erede potrebbe anche decidere di effettuare la rinuncia dell’eredità; una classica situazione di rinuncia dell’eredità avviene quando da una verifica dello stato patrimoniale del de cuius risulta una situazione debitoria maggiore dei crediti.
La rinuncia dell’eredità va sottoscritta davanti ad un notaio o al cancelliere del tribunale. Si tratta di un atto unilaterale (che esprime la volontà di un’unica parte) non recettizio. (ossia che produce effetti immediatamente, con la semplice manifestazione della volontà, senza che sia necessario che venga portato a conoscenza dell’altra parte.
Al contrario dell’accettazione, la rinuncia dell’eredità non può essere tacita.
Come già detto sopra, la rinuncia dell’eredità deve essere espressa nel termine di 10 anni dall’apertura della successione.
Ma cosa succede se viene effettuata successivamente a tale termine? Si parla in tal caso di Rinuncia Eredità Tardiva.
La Corte di Cassazione con la sentenza sopra citata affronta un classico caso di rinuncia eredità tardiva. La ricorrente aveva effettuato la rinuncia dell’eredità del proprio defunto marito successivamente al termine previsto dall’art. 31 del T.U n. 346 del 1990. In particolare in seguito al decesso avvenuto nel 1992, era stata presentata nel 1993 presso l’Ufficio del Registro una dichiarazione di successione in cui, tra gli eredi, era stata indicata anche la ricorrente, che poi soltanto nel 2005 provvedeva a formulare la rinuncia dell’eredità.
Oggetto della controversia giudiziale era il recupero dell’imposta completare INVIM susseguente al maggiore valore accertato di un immobile acquistato dal de cuius nel 1984. Il de cuius aveva impugnato in Commissione Tributaria Provinciale l’avviso di accertamento di valore, nelle more del giudizio però decedeva e la sentenza passava in giudicato. L’ufficio quindi emetteva in seguito un avviso di liquidazione per il recupero dell’imposta nei confronti dell’erede ricorrente. Quest’ultima dunque presentava ricorso in Commissione Tributaria contestando il difetto di legittimazione passiva avendo rinunciato all’eredità. Ma sia il ricorso che il conseguente appello venivano rigettati, sulla considerazione che la rinuncia all’eredità era avvenuta oltre 10 anni dall’apertura della successione nonché successivamente alla nascita del debito.
Proponeva cosi ricorso in Cassazione lamentando l’erroneità delle sentenza di appello impugnata, per aver considerato la ricorrente parte attiva dell’eredità, ciò in quanto i giudici di appello avrebbero confuso il semplice chiamato all’eredità con l’erede senza valutare le prove della ricorrente in merito alla rinuncia dell’eredità effettuata.
La sezione tributaria della Corte di Cassazione investita della questione ha invece ritenuto fondata la doglianza della ricorrente accogliendo il ricorso.
La corte in particolare spiega che l’assunzione della qualità di erede non può certamente desumersi dalla semplice chiamata all’eredità, né dalla denuncia di successione, essendo quest’ultimo un atto di mera natura fiscale e che non assume rilievo ai fini dell’assunzione della qualità di erede. Per l’assunzione di tale qualità è infatti necessaria discende l’accettazione espressa o tacita dell’eredità.
La corte sottolinea inoltre che nel caso di prensenza di debiti tributari del de cuius, l’accettazione dell’eredità è una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità a risponderne. Il principio di diritto è dunque che chi ha rinunciato all’eredità ai sensi dell’art. 519 c.c. non può ritenersi obbligato a pagare il debito del de cuius.
Ciò promesso nel caso concreto la rinuncia dell’eredità era avvenuta tardivamente e senza rispettare le modalità previste dall’art. 28, comma 6, del d.lgs. n. 346 del 1990.
Tuttavia al riguardo la Corte di Cassazione ritiene, che essendo l’accettazione dell’eredità il presupposto er la trasmissione dei debiti ereditari, l’eventuale rinuncia anche se tardiva, esclude conseguentemente che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, salvo che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali desumere una accettazione implicita dell’eredità (art. 476 cod. civ.). In Tal caso, pero, specifica la Corte, l’Amministrazione finanziaria è parte processualmente onerata a darne prova.
La Corte di Cassazione ha basato questa sua decisione sul principio della retroattività della rinuncia dell’eredità, ai sensi dell’art. 521 cod.civ.. Dunque, chi rinuncia all’eredità è considerato come se non fosse stato mai chiamato.
Dal tenere della sentenza discende la possibilità per ogni erede di rinunciare all’eredità in presenza di debiti del proprio de cuius. In apertura di successione è importante effettuare una valutazione dello stato patrimoniale.
Con un semplice accertamento è possibile vedere se l’erede abbia accettato o meno i lasciti del de cuius. Se invece si ha la necessità di conoscere gli eredi del cuius si può richiedere una visura eredi. Si tratta di una ricerca che va ad identificare eventuali eredi legittimi del debitore deceduto.
Avv. Paola Zarzaca