Responsabilità dei Soci per i Debiti Aziendali. Cass. Sent. n. 2672/18.
La responsabilità dei soci per i debiti aziendali sussiste anche nel caso in cui i soci non abbiano riscosso alcunché in sede di liquidazione della società.
Tale principio discende dalla recente sentenza della corte di cassazione n. 2672 dello scorso aprile 2018, con cui è stata affrontata la questione della responsabilità dei soci in caso di mancata ripartizione di somme.
Nel caso in questione l’Agenzia delle Entrate aveva emesso una cartella di pagamento per omesso versamento Irap ed Iva da parte di una società. Quest’ultima aveva proposto ricorso in Commissione Tributaria provinciale che annullava la cartella di pagamento per intervenuta decadenza dell’Ufficio dall’iscrizione, decisione poi confermata, con diversa motivazione, dalla Commissione Tributaria regionale d’appello, che riteneva la nullità dell’atto impositivo per omessa notifica della comunicazione di irregolarità.
Subito dopo la sentenza di appello la società in questione cessava di esistere con cancellazione dal registro delle imprese.
L’Agenzia delle Entrate proponeva pertanto ricorso in cassazione nei confronti dei tre soci e del liquidatore, che resistevano eccependo il difetto di legittimazione passiva.
La corte di Cassazione ha ritenuto che il ricorso è inammissibile nei confronti del liquidatore in quanto l’Agenzia delle Entrate non ha fatto valere la responsabilità del liquidatore ex art. 2495 c.c., né ex art. 36, d.P.R. n. 602 del 1973, ma, invece, ha direttamente dedotto l’obbligazione tributaria accertata nei confronti della società.
Vale la pena specificare ai sensi dell’art. 2495c.c. l’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore verso i creditori si basa sulla inosservanza degli obblighi suoi propri attinenti alla fase della liquidazione.
La responsabilità del liquidatore ex art. 36 d.P.R. n. 602 del 1973 integra invece una ipotesi di responsabilità propria ex lege e può essere promossa solo se i ruoli in cui siano iscritti i tributi della società possano essere posti in riscossione e se sia acquisita legale certezza che i medesimi non siano stati soddisfatti con le attività della liquidazione. Se la società contribuente è stata estinta, non si realizza alcuna forma di successione nei confronti del liquidatore, ma sorgono ipotesi di responsabilità nuove e fondate su differenti presupposti, ancorché implichino l’esistenza della obbligazione tributaria.
Pertanto la corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso nei confronti del liquidatore.
Per quanto riguarda la responsabilità dei soci invece, ha ritenuto ammissibile il ricorso nei loro confronti. I soci avevano eccepito il difetto della propria legittimazione passiva sostenendo che a loro non era stata ripartita nessuna somma in sede di liquidazione per mancanza di attivo, allegando al riguardo la visura camerale ed ilbilancio aziendale finale di liquidazione. (vedi anche l’articolo sul bilancio aziendale tardivo)
La corte rileva che tale circostanza non va ad incidere sull’ammissione del ricorso. Riguardo propriamente la responsabilità dei soci, la Corte richiama il precedente giurisprudenziale delle Sezioni Unite (Sez. U, 12 marzo 2013, n. 6070 e n. 6072), con il quale è stato stabilito che ai sensi dell’art. 2495 c.c., i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati, e ciò al fine d’impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, espropriare il creditore del proprio diritto di vedere soddisfatto il proprio credito.
Inoltre le Sezioni Unite hanno spiegato che ciò si realizza anche quando il debito del quale possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro, non si configura come un debito nuovo, ma s’identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica. Ne discende dunque che si verifica in capo ai soci un vero fenomeno successorio.
I soci d’altro canto avevano richiamato un diverso orientamento giurisprudenziale ai sensi del quale gli ex soci possono ritenersi subentrati dal lato passivo nel rapporto d’imposta solo se e nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione (Cass., 23 novembre 2016, n. 23916; Cass., 26 giugno 2015, n. 13259; da ultimo Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444).
Tuttavia ad avviso della Corte di Cassazione tale orientamento non è in linea con i principi affermati dalle Sezioni Unite che individuano sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata (ma non definiti all’esito della cancellazione) a prescindere dall’aver questi goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
La Corte di Cassazione pertanto ha scelto di aderire all’orientamento delle Sezioni Unite.
Inoltre ha rilevato che la circostanza che i soci abbiano goduto o meno di un qualche riparto, non è dirimente neppure ai fini dell’interesse ad agire del Fisco creditore, semmai potrebbe avere rilevanza sull’interesse ad agire del creditore.
Il creditore, sapendo della non ripartizione e mancanza di attivo, potrebbe non aver interesse ad agire, ma tuttavia potrebbe avere ugualmente l’interesse ad agire per vedere riconosciuto giudizialmente il proprio credito, per poter esperire ad esempio un’azione revocatoria. Vale la pena ricordare al riguardo, che potrebbero esistere beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono, o debiti incerti e inesigibili, situazioni per cui non si può escludere a priori l’interesse del creditore a procurarsi un titolo nei confronti dei soci.
In conclusione dunque i soci rispondono dei debiti della società estinta anche se non hanno ottenuto somme in sede di liquidazione.
In merito invece alle sanzioni che aveva applicato l’Erario, la Corte di Cassazione rileva che l’estinzione della società ha determinato l’intrasmissibilità della sanzione ex art. 8, d.lgs. n. 472 del 1997 e ciò, a fronte del principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie introdotto dall’art. 7, comma 1, d.l. n. 269 del 2003, conv. nella I. n. 326 del 2003.
La corte poi affronta il problema della nullità della cartella di pagamento rilevata dal giudice di appello per il mancato invio della comunicazione di irregolarità.
La corte osserva al riguardo, che nel caso di specie la cartella era stata emessa in seguito al controllo automatizzato. In tale circostanza l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta, mentre tale adempimento non è prescritto nell’ipotesi (come quella qui in esame) di omessi o tardivi versamenti, che implicano un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo. Pertanto, trattandosi di omessi versamenti per Iva ed Irap, non era necessario l’invio della comunicazione di irregolarità.
Avv. Paola Zarzaca