I DIRITTI DEI LAVORATORI E I LORO POTERI IN CASO DI MANCATA RETRIBUZIONE

COSA SUCCEDE SE IL DATORE DI LAVORO NON PAGA?

Il presente articolo propone una tematica che, seppur vanti ormai tanti anni di storia, risulta sempre tanto attuale.

Per potere affrontare al meglio tutto quello che ruota attorno al mondo dei lavoratori e ciò che concerne l’alveo dei loro diritti e dei loro poteri in caso di mancata retribuzione da parte del datore di lavoro, occorre preliminarmente trattare della sfera comprensiva di tutti i loro diritti in generale.

Proprio al riguardo, lo Statuto dei lavoratori (la Legge n. 300 del 20 maggio 1970) riporta “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” e riveste un ruolo di particolare importanza;  lo statuto si compone di 6 titoli e disciplina le libertà e tutele apprestate al lavoratore, alla sua libertà e dignità, tra cui il diritto al riposo quotidiano, il diritto alle ferie, la libertà di opinioni dei lavoratori, tutela avverso azioni lesive della loro privacy, mansioni, diritti sindacali, licenziamenti ecc.

Lo statuto si propone, sostanzialmente, di apprestare ampia tutela al lavoratore, qui designato come il soggetto “debole” del rapporto lavorativo.

Un’altra fonte che regola questo argomento è la Costituzione, che già dai primi articoli identifica nel diritto al lavoro un caposaldo dei diritti del cittadino, al quale viene riconosciuto il diritto sociale di condurre una vita dignitosa e godere di una sua indipendenza.

L’art. 4 recita testualmente “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Ma in che modo la Repubblica promuove le condizioni per rendere effettivo questo diritto?

Nonostante sia la stessa carta costituzionale a riconoscere a tutti i cittadini il diritto al lavoro e a promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto, la disposizione non deve tradursi nella vana pretesa di ogni cittadino di avere un lavoro solo perché “garantito” dalla costituzione, piuttosto deve essere letta in chiave obiettiva e soprattutto deve essere contestualizzata nel periodo storico che si sta affrontando.

Fare i conti con la realtà sociale e con tutte le problematiche connesse significa valutare anche il protrarsi della crisi economia e tutti i risvolti da essa scaturiti.

Il diritto alla retribuzione è contemplato nell’art. 36 della Costituzione secondo cui “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.”

MA QUALI SONO LE AZIONI ESPERIBILI DAL LAVORATORE NEI CONFRONTI DEL DATORE?

Posto che la retribuzione deve essere garantita ogni mese, cosa accade se ciò non avviene? Quali sono i poteri spettanti al lavoratore se si prospetta una situazione simile? Nel caso di lavoratore dipendente da un’azienda, egli può rivolgersi a un legale, esporgli il problema e, tramite l’assistenza e la rappresentanza di quest’ultimo, può intimarlo al pagamento e sollecitare la corresponsione della retribuzione. Il lavoratore può infatti presentare una diffida contenente, oltre al sollecito anche l’avviso di intraprendere eventuali e future nuove azioni legali in caso di mancato adempimento degli obblighi. In alternativa, per difendersi il lavoratore può presentare un decreto ingiuntivo in tribunale, che viene notificato all’azienda nei successivi due mesi. Da questo momento il datore di lavoro può decidere se opporsi al decreto ingiuntivo oppure se pagare al lavoratore le somme che gli spettavano. Il lavoratore che intende rifarsi sullo stipendio del suo debitore può dare avvio a un procedimento esecutivo. Vediamo come funziona.

La procedura ha inizio con la notifica al proprio datore di lavoro di un atto di pignoramento presso terzi, che è qui finalizzato a recuperare i crediti spettanti ex lege al lavoratore.

Dopo il ricevimento dell’atto, il debitore effettuerà una ritenuta, una trattenuta sulla busta paga, indicando espressamente la somma.

Il giudice a questo punto, verificata la regolarità del pignoramento, emana un’ordinanza di assegnazione, in conseguenza della quale il debitore dovrà ogni mese trattenere una parte dello stipendio e dovrà assegnarla al creditore pignorante.

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…E SE RITARDA NEI PAGAMENTI?

Diverso il caso dei ritardi delle retribuzioni.

E’ possibile, infatti, anche avendo riguardo a tutti i disagi economici degli ultimi periodi, che ci possano essere dei ritardi nei pagamenti, anche se è bene precisare che gli eventuali periodi di crisi non possono comunque giustificare un pregiudizio arrecato al dipendente che abbia diligentemente prestato la sua attività lavorativa.

In tal caso, il lavoratore può, in prima battuta, pazientare qualora il ritardo sia solo relativo a pochi giorni successivi alla data stabilita e fin quando il ritardo non diventi per lui insopportabile o pregiudizievole.

In caso di ritardo protrattosi oltre il termine stabilito, “il lavoratore può legittimamente dimettersi per giusta causa, allorché il Ccnl lo preveda, a nulla rilevando il fatto di essere socio, fratello degli altri soci e a conoscenza delle difficoltà aziendali”. Egli può infatti può decidere di “dimettersi per giusta causa”: questo l’orientamento giurisprudenziale accolto dalla Corte d’Appello di Milano. Al riguardo una sentenza, la n. 1713/2017 ha previsto che, superato il termine stabilito, il dipendente può decidere di recedere dal contratto per giusta causa. La Corte d’Appello ha infatti evidenziato come, in caso di ritardo nei pagamenti della retribuzione (nel caso sottoposto all’attenzione della Corte oltre 15 giorni), possa “presumersi l’intollerabilità del ritardo, senza che il protrarsi di esso faccia venir meno il diritto del lavoratore al recesso per giusta causa”.

Quali sono quindi le conseguenze per il datore di lavoro che tarda a retribuire un dipendente?

Il ritardato pagamento dello stipendio comporta l’irrogazione di sanzioni amministrative in capo al datore di lavoro. Tali sanzioni dipendono dal protrarsi del ritardo in questione e dalla sua reiterazione e possono andare da € 150 a 7200 diverse a seconda di vari fattori: se il ritardo riguarda più di una mensilità, se invece riguarda un periodo superiore a un anno, o se ancora concerne più di 5 o 10 lavoratori.

CASSA INTEGRAZIONE E COVID: IL DECRETO RISTORI BIS

 La Cassa integrazione è un contributo che lo Stato riconosce ai lavoratori in una serie di situazioni legate a disagi economici e produttivi e crisi aziendali al fine di sostituire o integrare la normale retribuzione. Occorre precisare che vi sono diversi tipi di cassa integrazione a seconda degli eventi. La cassa integrazione ordinaria è destinata ad imprese produttrici, aziende industriali, imprese artigiane nel campo dell’edilizia, imprese riguardanti gli impianti elettrici; questa riguarda eventi temporanei che impongono alle aziende ad esempio di ridurre notevolmente se non addirittura sospendere la loro attività lavorativa, ponendo i lavoratori in situazioni economiche precarie. Con la cassa integrazione ordinaria lo Stato assicura un temporaneo sussidio nell’ottica di una ripartenza. La cassa integrazione straordinaria, invece, è diretta solo alle aziende che vantino un numero superiore a 15 dipendenti, tra cui imprese commerciali o servizi di ristorazione ecc. e contempla delle situazioni differenti. Si tratta di motivi e situazioni inerenti alla struttura o al funzionamento dell’azienda, come difficoltà economiche aziendali, lavori strutturali ecc.

Con l’emergenza Covid, il Governo ha concesso la possibilità ai lavoratori di presentare la domanda tramite una istanza con cui richiedere il sussidio.

L’emanazione del Decreto Ristori (D.L. 137/2020) ha rappresentato un punto fondamentale in relazione a questo contesto. Il Governo ha infatti introdotto nuove e urgenti misure a tutela dei lavoratori in relazione alle esigenze connesse all’epidemia. Si tratta di un decreto “che vale complessivamente oltre 5 miliardi di euro utilizzati per dare risorse immediati a beneficio delle categorie degli operatori economici e dei lavoratori direttamente indirettamente interessati dalle misure restrittive di questo ultimo DPCM”, queste le parole del Presidente Conte.

In relazione poi alla Cassa integrazione, il governo aveva disposto “ulteriori 6 settimane di Cassa integrazione ordinaria, in deroga e di assegno ordinario legate all’emergenza COVID-19, da usufruire tra il 16 novembre 2019 e il 31 gennaio 2021 da parte delle imprese che hanno esaurito le precedenti settimane di Cassa integrazione previste dal Decreto Agosto e da parte di quelle soggette a chiusura o limitazione delle attività economiche.”

Conclusioni

Possiamo concludere affermando che i risvolti della crisi derivanti dal dilagare dell’epidemia ha sicuramente avuto un riscontro diretto negativo sull’economia.

Nonostante le molteplici manovre, la problematica principale ormai da tanti mesi ruota attorno ai mancati pagamenti, i rischi di ritardo e alle mancate autorizzazioni delle domande. Migliaia di lavoratori si dicono insoddisfatti e molti dipendenti stanno ancora aspettando.

Se sei interessato all’argomento e vuoi avere ulteriori approfondimenti e delucidazioni, non esitare a contattarci.

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Dott.ssa Alessia De Domenico

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